Co-housing in Svezia: Quando i Vicini Diventano La Tua Famiglia
Un condominio, a Malmö, offre la privacy di una casa e tutti i vantaggi della vita in famiglia. Compresa la cena pronta
Vivere in un condominio circondati da altre persone non significa per forza avere qualcosa in comune con i propri vicini, o, addirittura, riconoscerli quando li si incontra. Ma gli abitanti di questo stabile di Malmö, nel sud della Svezia, si conoscevano ancora prima di trasferircisi. Non solo: sono tutti fermamente convinti che vivere in comunità, condividendo compiti come pulire e cucinare, sia il miglior modo possibile di vivere.
Il cohousing (coabitazione solidale, NdT) non è certo una novità, ma la cosa speciale di questo palazzo, la Sofielunds Kollektivhus, è che il progetto iniziale lo si deve all’amministrazione locale della città e che ciascun condomino ha a propria disposizione un appartamento autonomo nonché l’uso degli spazi comuni nei modi e nei tempi che preferisce.
Houzz ha voluto visitare lo stabile per cercare di cogliere appieno questo spirito comunitario e ha incontrato i condomini in un raro momento di tranquillità.
Il cohousing (coabitazione solidale, NdT) non è certo una novità, ma la cosa speciale di questo palazzo, la Sofielunds Kollektivhus, è che il progetto iniziale lo si deve all’amministrazione locale della città e che ciascun condomino ha a propria disposizione un appartamento autonomo nonché l’uso degli spazi comuni nei modi e nei tempi che preferisce.
Houzz ha voluto visitare lo stabile per cercare di cogliere appieno questo spirito comunitario e ha incontrato i condomini in un raro momento di tranquillità.
Prima di varcare la porta di casa, i condomini hanno sottoscritto un contratto, con il quale si impegnavano a contribuire a turno a tenere pulite le zone comuni, così come a preparare la cena nella gigantesca sala da pranzo che accoglie tutti gli abitanti dello stabile (nella foto). La squadra dedicata alla cucina attualmente sforna la cena tre volte alla settimana, ed è in cantiere l’idea di scodellare anche un pasto “della domenica” ogni mese.
Ci è voluto un po’ per abituarsi alle dimensioni della cucina industriale e imparare a cucinare per così tante persone: a ciascun pasto si devono sfamare 65 bocche! «A volte ci sbagliamo, altre volte non c’è abbastanza da mangiare…», ammette Hilda. «Nessuno di noi è un cuoco professionista, perciò l’importante è avere il giusto approccio, se si vuole vivere così. A volte qualcuno si lamenta, ma bisogna guardare anche l’altra parte della bilancia: c’è sempre qualcuno che, invece, è contento».
Ci è voluto un po’ per abituarsi alle dimensioni della cucina industriale e imparare a cucinare per così tante persone: a ciascun pasto si devono sfamare 65 bocche! «A volte ci sbagliamo, altre volte non c’è abbastanza da mangiare…», ammette Hilda. «Nessuno di noi è un cuoco professionista, perciò l’importante è avere il giusto approccio, se si vuole vivere così. A volte qualcuno si lamenta, ma bisogna guardare anche l’altra parte della bilancia: c’è sempre qualcuno che, invece, è contento».
Ma perché mai Hilda Gustafsson (nella foto) ha deciso di abitare in un contesto del genere? «Mi è sembrata una cosa bellissima. Lavoro a tempo pieno e organizzarmi la vita sociale era più un problema che altro. Qui tutto avviene nella maniera più naturale… Ogni volta che esco dal mio appartamento incontro qualcuno». Ma, alla base dell’impegno che ci si assume a vivere qui, c’è anche un pensiero politico. «Per molti di noi è fondamentale che la casa dove abitiamo sia sostenibile da un punto di vista sociale, ambientale ed economico».
Di cento persone che vivono qui, venti sono bambini, e l’età dei condomini spazia dai pochi mesi di vita ai 75 anni. L’architettura stessa degli edifici stimola la socialità, grazie al susseguirsi di scalinate e passaggi esterni tra un appartamento e l’altro e alla presenza in ogni unità abitativa di balconi, che invogliano a fermarsi e fare quattro chiacchiere.
Tra le persone che vivono qui alcuni sono neofiti della vita comunitaria, mentre altri hanno una lunga esperienza in materia alle spalle. Vera Rastenberger (nella foto) è una veterana. «Più che una veterana, sono una rivoluzionaria», afferma. «Durante la famosa occupazione delle case di Mullvaden, a Stoccolma nel 1977, c’ero anch’io» (Si tratta di una protesta, in occasione della quale 300 persone occuparono un edificio per evitare che venisse demolito, e ci rimasero per quasi un anno, NdR).
Vera Rastenberger era una madre single e, desiderando compagnia per suo figlio, all’epoca decise di vivere in una comune, fermandocisi poi per i successivi vent’anni.
Vera Rastenberger era una madre single e, desiderando compagnia per suo figlio, all’epoca decise di vivere in una comune, fermandocisi poi per i successivi vent’anni.
«L’aspetto più attraente di questo tipo di abitazione è che non sei mai solo», spiega Vera. «Io sono cieca, e per me è bello sapere di avere vicino qualcuno che mi può dare una mano. Me la cavo bene da sola, ma l’altro giorno stavo friggendo qualcosa in padella ed è scattato l’allarme anti-incendio. Non riuscivo a spegnerlo, così sono uscita nel vialetto e ho chiesto aiuto urlando, finché qualcuno non è arrivato di corsa. In qualsiasi altra abitazione, avrei dovuto chiamare i pompieri, in un’occasione in cui un intervento in realtà non era necessario».
Continua Vera: «Prima di trasferirmi qui, vivevo in una bellissima casa a Malmö. Erano tutti molto silenziosi e beneducati. Non c’erano bambini, e io ero l’unica a fare rumore!». Questo è il suo soggiorno.
Oggi in Svezia ci sono circa 45 abitazioni di questo tipo, come racconta Ulrika Egerö, presidente dell’associazione KollektivhusNu. «La Danimarca è avanti a tutti in questo campo», spiega. «Ma la Svezia occupa un buon secondo posto. Ci sono comunque movimenti molto forti anche in Germania, Paesi Bassi e Stati Uniti».
Le prime esperienze di cohousing in Svezia risalgono agli anni Trenta, anche se, a differenza di oggi, a quell’epoca, per la ristorazione, la pulizia e il baby-sitting, ci si appoggiava a personale esterno. Nei liberali anni Settanta, molte persone hanno poi scelto di vivere in una comune, con il risultato che all’epoca sono nate diverse associazioni allo scopo di costruire edifici che si prestassero a questo stile di vita.
«Nonostante abbia subito una certa flessione negli anni Novanta, questo movimento è in continua crescita», spiega Egerö. «In questo momento stiamo osservando un rinnovato interesse da parte della gente».
Le prime esperienze di cohousing in Svezia risalgono agli anni Trenta, anche se, a differenza di oggi, a quell’epoca, per la ristorazione, la pulizia e il baby-sitting, ci si appoggiava a personale esterno. Nei liberali anni Settanta, molte persone hanno poi scelto di vivere in una comune, con il risultato che all’epoca sono nate diverse associazioni allo scopo di costruire edifici che si prestassero a questo stile di vita.
«Nonostante abbia subito una certa flessione negli anni Novanta, questo movimento è in continua crescita», spiega Egerö. «In questo momento stiamo osservando un rinnovato interesse da parte della gente».
I condomini della Sofielunds Kollektivhus si sono organizzati in otto squadre, che comprendono anche chi deve occuparsi della manutenzione dei palazzi e della cucina. In sale comuni, come quella ritratta in questa foto, si tengono le riunioni. Tra l’altro, dato che il comune, che è proprietario dei muri, non deve pagare un custode, il costo degli affitti risulta anche per questo un po’ più basso.
«Ogni unità risparmia alcune centinaia di corone (circa 35-40 dollari) al mese», racconta Hilda Gustafsson. «Noi ci occupiamo anche di spedire i conti per l’affitto, di pagare le bollette dell’elettricità e di svolgere altre faccende di ordine amministrativo, e questo ci rende graditi al padrone di casa, il comune di Malmö».
«Ogni unità risparmia alcune centinaia di corone (circa 35-40 dollari) al mese», racconta Hilda Gustafsson. «Noi ci occupiamo anche di spedire i conti per l’affitto, di pagare le bollette dell’elettricità e di svolgere altre faccende di ordine amministrativo, e questo ci rende graditi al padrone di casa, il comune di Malmö».
Accanto alla sala da pranzo troviamo un angolo dedicato alla lettura, la cui libreria è curata da un condomino che fa il bibliotecario. Chiunque qui è il benvenuto, anzi, tutti sono invitati a usufruire di questo spazio, che sia per studiare, per stare un po’ tranquilli o per scambiare due parole.
La falegnameria è dotata di attrezzi e banconi per riparare o fabbricarsi mobili.
Questo grande telaio è stato messo accanto al laboratorio di falegnameria: nella casa si è formato anche un gruppo dedito al lavoro a maglia e al cucito.
La sala cinema è dotata di un proiettore professionale e può essere prenotata o utilizzata a piacere. Quando è programmata la proiezione di un film per bambini, tutti i piccoli della casa convergono qui: alcuni li trovi addirittura seduti sui cuscini appoggiati sul davanzale delle finestre. Per i genitori è una grande comodità poter contare su questo spazio per le feste di compleanno, alle quali ovviamente sono regolarmente invitati anche i compagni di scuola.
«Ognuno ama vivere qui per un motivo diverso», spiega Hilda Gustafsson. «Per le madri e i padri single, è stupendo trovarsi pronta la cena tre volte alla settimana, mentre le persone anziane non si sentono mai sole».
«Ognuno ama vivere qui per un motivo diverso», spiega Hilda Gustafsson. «Per le madri e i padri single, è stupendo trovarsi pronta la cena tre volte alla settimana, mentre le persone anziane non si sentono mai sole».
Gli appartamenti sono completamente autonomi e sono dotati di impianti moderni, cucina, bagno, sala e camera da letto. Ciascuno ha anche un accesso all’esterno, che sia un balcone o un terrazzo. Quella di questa foto è la cucina di Hilda.
Hilda vive in uno degli appartamenti più grandi, che la giovane divide con quattro amici.
Ma è mai successo che un condomino non abbia rispettato i patti e non abbia svolto i compiti che si era assunto l’impegno di svolgere? «Abbiamo un regolamento che si occupa dei casi nei quali, per esempio, qualcuno si ammala o è incinta», spiega Hilda. «Inoltre, nel corso delle nostre riunioni mensili cerchiamo sempre di affrontare eventuali difficoltà. È sempre meglio discutere apertamente: abbiamo notato che per email è facile cadere in malintesi o leggere cose sbagliate tra le righe, e lavoriamo su questo. Le discussioni possono essere anche molto accese, ma le persone che fanno parte del direttivo cercano sempre di risolvere le situazioni più ingarbugliate in modo che tutti ne escano soddisfatti».
Ma è mai successo che un condomino non abbia rispettato i patti e non abbia svolto i compiti che si era assunto l’impegno di svolgere? «Abbiamo un regolamento che si occupa dei casi nei quali, per esempio, qualcuno si ammala o è incinta», spiega Hilda. «Inoltre, nel corso delle nostre riunioni mensili cerchiamo sempre di affrontare eventuali difficoltà. È sempre meglio discutere apertamente: abbiamo notato che per email è facile cadere in malintesi o leggere cose sbagliate tra le righe, e lavoriamo su questo. Le discussioni possono essere anche molto accese, ma le persone che fanno parte del direttivo cercano sempre di risolvere le situazioni più ingarbugliate in modo che tutti ne escano soddisfatti».
Non è mai successo, ma, se i compiti assegnati non venissero per qualche ragione svolti, la parte inadempiente sarebbe invitata a lasciare la casa. «In fondo abbiamo sottoscritto un contratto – dice Hilda – e se il contratto non viene rispettato, possiamo risolverlo».
Ma allora… ci sono dei lati negativi in questo tipo di vita? «È come vivere con un’estensione della tua famiglia, il che può essere complesso se non sei abituato a un tale livello di intimità», spiega Hilda. «Ma, proprio come succede nelle famiglie, spesso proprio gli aspetti più difficili sono anche i migliori».
Houzz Eco: Insieme è Meglio! L’Avventura Collettiva del Co-housing
Cosa ne pensi? Ti piacerebbe vivere in un condominio come questo? Hai avuto un’esperienza in una comune?
Ma allora… ci sono dei lati negativi in questo tipo di vita? «È come vivere con un’estensione della tua famiglia, il che può essere complesso se non sei abituato a un tale livello di intimità», spiega Hilda. «Ma, proprio come succede nelle famiglie, spesso proprio gli aspetti più difficili sono anche i migliori».
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Cosa ne pensi? Ti piacerebbe vivere in un condominio come questo? Hai avuto un’esperienza in una comune?
Hilda Gustafsson, presidente dell’associazione dei condomini, spiega come è nata l’idea di un condominio solidale: «L’associazione è stata fondata nel 2009, e chi si associava entrava automaticamente in una lista d’attesa per avere diritto a un appartamento negli edifici che sarebbero stati costruiti in seguito». Gli architetti dello studio Kanozi hanno sviluppato il progetto con l’associazione residenti e l’idea ha attirato l’attenzione della società di sviluppo edilizio MKB, che è di proprietà del comune di Malmö».